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Festival di Internazionale a Ferrara – L’alleato scomodo dell’occidente ovvero quel che ignoriamo di Afghanistan e Pakistan

Se un giorno inventassero il copia/incolla delle emozioni sarebbe davvero tutto più facile. Anche scrivere quando non hai l’assillo delle battute, dei tempi e dei limiti della “fredda cronaca”. La giornata di venerdì, al Festival di Internazionale a Ferrara sarebbe di quelle da copia/incolla. Perché qualunque cosa riesca a scrivere non sarà in grado di rendere quello che ho sentito, soprattutto di pancia. E allora vado per flash. Questo è il primo

A volte ci accorgiamo di essere veramente ignoranti. Ignoriamo perché non sappiamo, ignoriamo perché non vogliamo sapere. E soprattutto perché è più facile viaggiare secondo le categorie che ci hanno insegnata da bambini, un po’ cattoliche un po’ manichee: bene/male, buoni/cattivi, giusto/sbagliato. E poi esci dal gioco della lavagna che ti ha informato la vita e forse capisci che tutto è diverso. Che non c’è più la maestra, che anche il primo della classe, che deve dare i suoi primi giudizi elementari bara, è geloso, è arrivista, è ingiusto, non usa sempre lo stesso metro. E il trucco è scoperto. E le categorie crollano. La confusione aumenta, è vero. Ma almeno, quando ce ne accorgiamo, forse siamo meno disposti a farci fottere. A farci raccontare invece di guardare con i nostri occhi. Ad avere paura dell’altro perchè diverso.

Un caso eclatante fra tutti, fra i migliaia che solo guardando al di là del banale potremmo vedere e contestare. Il conflitto in Afghanistan, il ruolo del Pakistan, l’azione della Nato, degli Usa e dei suoi alleati. La nostra categoria, inculcataci in maniera martellante ogni 11 settembre che dio manda in terra è: Al Qaeda è il male assoluto, i talebani sono nemici da combattere, l’Afghanistan è un paese da pacificare cacciando gli estremisti, il Pakistan è alleato dell’Occidente ma… E tutto il bene, il giusto, il sacrosanto sta dall’altra parte. Dalla parte di chi ha subito gli attentati, i morti civili, il terrore e la paura di non sentirsi più al sicuro. E quindi niente dialogo, ma eserciti e bombe. Che chiamano vendetta e non giustizia. Ma dalle parole di chi quei posti li vive, li racconta e cerca di spiegarli, la realtà che emerge è completamente diversa. Ed è quella di un Pakistan “alleato scomodo dell’Occidente”, come recita il titolo della conferenza. Scomodo perché, come racconta il giornalista del Guardian, Jason Burke, il Pakistan fa i suoi interessi. In una situazione politica e territoriale molto complessa. Da una parte l’eterno conflitto geopolitico con l’India. Dall’altra la vicinanza scomoda con un Afghanistan prima confessionale, poi sovietico, poi di nuovo integralista, infine “liberato”. E la voglia di tenerselo buono, questo Afghanistan, anche per il rischio di rivedere l’India tornare a primeggiare in quell’area come ai tempi dell’invasione russa. E in questo si dimostra tutta la schizofrenia della politica pakistana. Che da una parte non può dire di no agli Stati Uniti, che è un alleato più forzato che altro; e dall’altra non può che trattare con i talebani per una via di uscita da una situazione di eterno conflitto. Talebani che, peraltro, si sentono pienamente legittimati a sedere ad un eventuale tavolo di trattative per la pace e per il futuro democratico del loro paese visto che sono stati componente importante durante la resistenza all’invasore sovietico. Ma talebani, per noi, per l’Occidente, per la grande madre a stelle e strisce, significa Al  Qaeda. E Al Qaeda significa anche rete Haqqani, una milizia di etnia pashtun (la stessa che è maggioritaria in Pakistan), che intesse stretti rapporti con l’intelligence pakistana. E che fa scricchiolare tutti gli equilibri internazionali fin qui realizzati. Ebbene, se dovessimo ragionare con le categorie consuete la soluzione sarebbe la solita: estirpare il male alla radice e ogni possibile connivenza. E se invece avesse ragione chi il Pakistan lo vive, chi ha avuto modo di conoscere e intervistare tutti i leader di Al Qaeda, da Bin Laden in giù? E’ il giornalista di The News, Rahimullah Yusufzai. Per lui con i talebani si deve trattare. O il conflitto non avrà mai una conclusione. E la pace in queste zone sarà solo un miraggio. Come qualcuno, forse, vorrebbe che fosse.

A tutto questo si aggiunga quello che ignoriamo perché non vogliamo neanche concepire. E cioè che la guerra, i raid americani e le operazioni mirate provocano morti. E non solo morti militari, negli obiettivi strategici. Ma nelle fattorie Pashtun del Nord Waziristan. E’ lo scenario che si aspetta Pepe Escobar di Asia Times. Che conclude il suo pezzo di giovedì sull’edizione on line del giornale in questa maniera: “Aspettatevi (in caso di raid americani nella zona contro la rete Haqqani, ndr) una mortale, eterna vendetta dei Pashtun contro gli americani che sarà così irreversibile come la morte e le tasse. E soprattutto aspettatevi che una guerra a bassa intensità si trasformi, in qualunque momento, in una situazione esplosiva”.

E intanto noi, bellamente, ignoriamo. Ce lo possiamo permettere?